Ciak Teramo

Il Progetto

Ciak Tour prende vita nel 2020, con l’obiettivo di realizzare un progetto didattico per l‘indirizzo di Accoglienza turistica dell’Istituto Di Poppa Rozzi di Teramo, al fine di rendere significativo l’apprendimento delle discipline curriculari e onorare i Patti di Comunità stipulati tra la scuola e le istituzioni locali, per la conoscenza e la promozione turistica della provincia teramana. Sono gli anni della pandemia, del distanziamento sociale, della didattica digitale e di un mondo che deve imparare a viaggiare sulle strade del web, cercando di annullare le distanze, i confini e l’isolamento. Il 2020 è anche l’anno del Giubileo straordinario di San Gabriele dell’Addolorata, il santo dei giovani, il più popolare in Abruzzo e tra i più popolari nel mondo. E allora, come fare a cogliere l’occasione del Giubileo di san Gabriele, riallacciandosi alla tradizione del pellegrinaggio devozionale, e così promuovere l’Abruzzo teramano nel mondo immobilizzato dal lockdown? 

L’esperienza del lockdown ci ha insegnato che, se non si può stare in presenza, facciamo scuola in dad; se non si può viaggiare fisicamente, si può farlo in rete. Così proprio per la rete abbiamo costruito un pellegrinaggio virtuale, che da Giulianova ad Isola del Gran Sasso traccia un percorso, facendo tappa  nei più importanti Santuari e nei borghi più belli della Diocesi di Teramo: la Madonna dello Splendore di Giulianova, la Madonna della Tibia di Crognaleto, a Canzano la Madonna dell’Alno, a Corropoli la Madonna del Sabato Santo, a  Campli la Scala Santa, a Civitella del Tronto la Madonna dei Lumi, a Teramo, il Santuario della Madonna delle Grazie; infine San Gabriele dell’Addolorata ad Isola del Gran Sasso. Si percorrono idealmente la Statale 80, parallela al corso del fiume Tordino; la statale 150 che costeggia il Vomano da Propezzano a Canzano, fino a Crognaleto; la provinciale 259 che guada il Vibrata, verso Corropoli, Civitella, Campli: cioè le strade che collegano, nella Provincia di Teramo, il mare e la montagna. 

La scelta di un itinerario religioso e devozionale è stata il pretesto per approfondire conoscenze trasversali del territorio quali l’arte, la storia, la cultura tradizionale e folklorica, la geografia, gli usi, le forme della devozione, la gastronomia; assieme a ciò, abbiamo inteso sviluppare negli alunni altrettante competenze trasversali, quali la quella comunicativa e la recitazione, le competenze personali, sociali e di cittadinanza; tutto trasposto in narrazione, con il  linguaggio “millennial”, e veicolate nella forma del tik toc.

Quella di costruire un Itinerario religioso è stata una strategia didattica per stimolare nei ragazzi la scoperta del sé, attraverso lo studio della pluralità degli orizzonti dell’“ager praetutianum” per generare uno sguardo panoramico sul mare, sulle valli fluviali, sulle colline, sulle montagne; sulle storie di città, di popolazioni, di uomini, di Santi e di casati illustri che hanno impresso una precisa immagine identitaria ai luoghi, ancora rintracciabile. Nella contemporaneità.

L’approccio didattico ha inteso considerare il paesaggio come un linguaggio: qualcosa da leggere, riconoscere, interpretare, percepire, ascoltare e descrivere, come testimonianza della storia geologica ed antropologica del territorio: ciò che è sedimentato in un profilo paesaggistico, racconta dei suoi abitanti in una perfetta correlazione tra civiltà e natura; considerando anche la definizione data dalla Convenzione Europea del Paesaggio (20 ottobre 2000): Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle persone, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e\o umani e dalle loro interrelazioni.
Il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale ed implica la salvaguardia, la gestione e la progettazione. Il paesaggio configura la forma estetica del territorio, creata dall'azione cosciente e sistematica della comunità umana che vi è insediata, che agisce sul suolo e che produce i segni della sua cultura.   Attualmente, quindi, si riconosce il paesaggio come bene culturale a carattere identitario, frutto della percezione della popolazione.

Gli elementi naturali che caratterizzano il territorio ed il paesaggio della provincia di Teramo sono la terra, l’acqua, le rocce, i boschi. Ecco, allora, il mare Adriatico, il cui nome, secondo la versione dello storico Paolo Diacono, deriva da Hadria, oggi Atri, leggendaria città natale di Ponzio Pilato, con la costa bassa e sabbiosa, marcata da torrioni medievali quali il torrione di Carlo V a Castrum Truentum (Martinsicuro), la Torre Acquaviva o Migliori a Giulianova, la Torre di Cerrano a Pineto, situate in punti strategici, su collinette rialzate ed in prossimità delle foci dei fiumi, per l’avvistamento e la difesa contro gli attacchi dei turchi e dei pirati. Ancora l’acqua nei fiumi che disegnano il paesaggio pretuziano formando le ricche vallate del Vomano, del Mavone, del Tordino, del Salinello, del Vibrata. Quindi la terra, con campi di ortaggi e cereali nelle vallate, un tempo risaie, che cedono il passo, sulle colline, ai vigneti del Montepulciano e del Pecorino e agli uliveti. Infine, le rocce dolomitiche del Gran Sasso, i boschi dei monti della Laga, i pascoli d’altura nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, che custodiscono i segni ancestrali della presenza dell’uomo, come le città, i borghi, i monasteri, i Santuari.

Si dice che dove abita l’uomo, dimorano gli dèi e l’uomo riconosce la presenza divina nelle forme della natura circostante e lo chiama genius loci. Così nell’antico mondo mediterraneo la manifestazione divina appartiene al suo luogo e lo caratterizza. Infatti le ricerche archeologiche in questi territori, hanno riportato alla luce resti di numerosi santuari pagani, quali il vicus di San Rustico di Basciano, tra il Vomano ed il Mavone; il santuario di Ercole alla Tibbla o Colle del Vento a Crognaleto; la necropoli di Campovalano  fuori dall’abitato di Campli, situati laddove vi erano, e vi sono ancora oggi, fenomeni naturali o umani, quali sorgenti, grotte, foci di fiumi, zone di confine, tratturi e vie di transumanza; qui sono emersi reperti fittili a forma di piedi, di gambe, di utero, di orecchie; ex voto offerti in pegno agli dei, toccanti testimonianze della religiosità popolare antica.

Non deve stupire se i ‘santuari cristiani’ si sono sovrapposti alle fondamenta di santuari dedicati a divinità pagane, come nel caso del Santuario della Madonna della Tibia, della Madonna delle Grazie, della Madonna del Sabato Santo. Si tratta di siti dove Maria, femminile e materna, incarnando il simbolismo precristiano della Dea-Madre, assume l’immagine della “Madonna arborea”, legata alle leggende di apparizioni sugli alberi, come la Madonna dell’Alno di Canzano, la Madonna del Crognale di Propezzano, la Madonna dello Splendore di Giulianova. Le leggende descrivono dettagliatamente le differenti varietà vegetali e geografiche nelle quali si inserisce l’evento sacro; infatti alberi come la quercia, l’olmo e il pioppo insistevano su zone di montagna o collina, l’ulivo o il corniolo si collegavano ad uno spazio pianeggiante, di costa o di leggera altura; per cui l’elemento arboreo diventava per l’uomo il legame tra la terra entro la quale affondava le sue radici per trarne la vita, ed il cielo, al quale aspirava. Il corniolo, l’ulivo o l’olmo sono elementi vegetali facilmente riconoscibili del circondario teramano così come le apparizioni (ad essi legate) del 22 aprile a Giulianova e del 10 maggio a Propezzano, del 18 maggio a Canzano, evocano fedelmente i culti pagani legati alla rigenerazione primaverile del Calendimaggio.

Le leggende sulla fondazione dei Santuari hanno tutte una comune struttura logico-narrativa ed una similare valenza umana e mistica: vi è una apparizione del divino e la richiesta di costruire una chiesa; dopo vari contrasti con le persone incredule, si decide di costruire l’edificio e si instaura il culto permanente. È chiaro che non si sta parlando di eventi sovrannaturali riconosciuti dalle autorità ecclesiastiche, ma di eventi naturali ritenuti sovrannaturali dal popolo e trasformati in leggende sacre dalla tradizione orale agropastorale, marinara, artigianale, che dall’arte viene poi materializzata in immagini, chiese e icone di altissimo valore simbolico.

Le chiese, i monasteri, gli eremi ed i santuari avevano il ruolo di aggregatori culturali e sociali sia nelle grandi città che nei piccoli borghi, favorendo la nascita delle comunità.  I Santuari, in più, si sono  imposti come chiese speciali, dove la presenza del sacro da offre è rifugio sia spirituale che fisico dai pericoli, intercessione miracolosa, indulgenza. Proprio per la loro particolare funzione, essi sono rigidamente regolamentati dal nuovo Codice di Diritto Canonico, il quale, nel can. 1230 ne offre la definizione:
«È detto santuario la chiesa o l'edificio sacro destinato all'esercizio pubblico del culto che, per un motivo particolare di pietà, è reputato dai fedeli meta di pellegrinaggi tesi a ottenere delle grazie o esaudire dei voti».

Si precisa quindi che «i motivi che possono giustificare i pellegrinaggi sono: un’immagine santa da onorare, la presenza di reliquie sante, un miracolo avvenuto in questo luogo o un’indulgenza da ottenere.
Nei santuari si offrano ai fedeli con maggior abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica soprattutto con la celebrazione dell’Eucaristia e della penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare. 2. Le testimonianze votive dell’arte e della pietà popolari siano conservate in modo visibile e custodite con sicurezza nei santuari o in luoghi adiacenti».

I santuari e i pellegrinaggi che verso di essi conducono, sono fenomeni religiosi che si rincorrono nello spazio e nel tempo. Se il santuario è principalmente un luogo sacro, il pellegrinaggio è il cammino privilegiato per raggiungerlo “in modo santo”.  In questo nostro lavoro, pellegrinaggi e processioni sono stati descritti con un taglio antropologico e folcklorico, oltre che simbolico e mistico. Abbiamo già visto come la dislocazione delle località sacre intreccia le complesse simbologie della montagna, quale luogo che avvicina alla volta celeste, e dell’acqua, simbolo di purificazione e di rinascita. “Andare pellegrini”: un gesto comune a tutte le religioni e la Chiesa Cattolica ne esalta il profondo valore per la conservazione della tradizione, della cultura e della fede cristiana; un patrimonio culturale e storico nel quale iscrivere la propria appartenenza. Il cammino devozionale tende a riaffermare quel vincolo partecipativo di una comunità ad un evento in un sicuro e forte legame con le radici. Ed è così naturale che le espressioni quasi istintuali legate ad esso, assumano perfino una loro spettacolarità, talvolta rimarcata finanche nelle statue, nei simboli, in alcune speciali preghiere e nei canti. Di questi ultimi in particolare, abbiamo riportato, ove è stato possibile, i testi originali, molti composti in dialetto locale, testimonianza di dell’identificazione totale dell’uomo, con il gesto che compie, la devozione che alimenta, l’appartenenza che rafforza.

Però, proprio in virtù (termine non utilizzato qui a caso...) delle peculiarità e delle finalità che persegue la scuola protagonista del lavoro, una particolare attenzione e cura, nella ricerca, sono state riservate al cibo, interpretato come forma e sostanza dei luoghi e del culto. La prospettiva utilizzata è stata quella dell’atto del mangiare come rituale sacro: mangiare con Dio o dinanzi a Dio; mangiare il cibo che nella propria terra è stato coltivato o allevato; cucinare come atto di memoria affettiva, di preghiera, di sapienza antica In tale ottica, ogni gesto che dà forma alla sostanza del cibo, è stato letto per ciò che significa da sempre: accogliere il sacro alla propria tavola, quasi come un membro della comunità; ma, al tempo stesso, condividere e festeggiare con gli appartenenti al proprio nucleo familiare e alla stessa comunità, l’allegria di un giorno speciale, la ricchezza di una crescita spirituale, l’energia dell’incontro con il santo o la figura sacra cui ci si è fiduciosamente rivolti. Come non leggere proprio con questa chiave lo straordinario gesto che accompagna la realizzazione dei diversi piatti o delle pietanze: la croce con cui si segnano le pagnotte prima di infornarle; la recita dell’Ave Maria per calcolare i tempi di cottura ecc. “I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. L’uomo è ciò che mangia”. In ragione di questo, il tecnicismo delle ricette e le abilità degli studenti nel prepararle sono stati integrati da testi informativi di natura storico-documentaristica sulle ricette stesse.

Infine, il solco sul quale si muove tutto l’apparato descrittivo delle ricette presentate nel lavoro, è quello del gusto, della ricerca di ricette originali; con una aggiunta, ormai inevitabile: creare continuità tra la “cucina povera” della tradizione e l’alimentazione sostenibile e consapevole che sempre più si afferma nei nostri tempi.